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Enrico Alberto d’Albertis e il suo viaggio a Lampedusa -15 settembre 1876

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Enrico Alberto d’Albertis e il suo viaggio a Lampedusa

Grande navigatore, scrittore, etnologo e filantropo italiano  di fine 800’, lo ricordiamo qui per uno dei suoi primi viaggi, il secondo, nel Mediterraneo con il suo cutter Violante. Il Cutter Violante fu varato il 23.2.1875 dal Cantiere Navale Briasco (fondato dal maestro d’ascia Agostino Briasco) per il Cap. D’Albertis, aveva una superficie velica di circa 130 mq su randa, fiocco e trinchettina, aumentabile a 189 mq con freccia e controfiocco.

Nel 1879, con Vittorio Augusto Vecchi, meglio noto come Jack La Bolina, il conte Ponza di San Martino, il marchese Doria, il marchese Imperiale e pochi altri fondò il Regio Yacht Club Italiano.

Fu il primo in Italia ad armare una barca a sue spese e metterla a disposizione dei ricercatori “…col precipuo scopo di adoperarla in servizio dei nostri istituti scientifici e a pro’ dei Naturalisti…”. E poi … “Ed ogniqualvolta lo consenta la sicurezza della nave egli muove guerra implacabile agli abitanti della terra e delle acque: pesca, draga, caccia, osservando e notando quanto concerne gli oggetti raccolti e le località esplorate. Così al ritorno delle sue escursioni egli reca al Museo Civico di Storia Naturale un cospicuo tributo di collezioni scientifiche e agli amici Naturalisti offre nuovi e pregevoli materiali di studio…”. Cosi scriveva nella prefazione del libro “Crociera del Violante durante l’anno 1876”  lo scienziato Arturo Issel.

In questo viaggio iniziato da Genova il 7 luglio del 1876 assieme a due membri di equipaggio ed altri due ospiti, il vicedirettore del Museo Civico di Genova Dottore R. Gestro e Alberto Giusti cugino dell’Albertis, Enrico D’Albertis naviga in lungo ed in largo nel Mediterraneo, percorrendo oltre 3500 miglia toccando diverse isole e cale ed anche, durante la via di ritorno le isole di Lampedusa e di Linosa.

Figura 1 Rotta del viaggio del Violante nel Mediterraneo

Il libro descrive giorno per giorno la rotta del Violante e il Comandante descrive per filo e per segno tutto quello che succede a bordo e a terra nei porti toccati. A governare la nostra isola, in quel periodo era stato inviato il regio Commissario Cav. Ulisse Maccaferri al fine di trasformarla in Comune. E così il comandante D’Albertis inizia a descrivere l’arrivo a Lampedusa provenendo dalla vicina Linosa.

… “Venerdi 15 Settembre”.

“ Alle 2 dopo la mezzanotte percorse 21 miglia nella direzione della punta Levante di Lampedusa, feci mettere al traverso, giacché era impossibile scorgere terra di sorta e sarebbe stata pazzia il tentare l’approdo. Le cateratte del cielo si apersero allora e si rovesciò sopra di noi per tutto il resto della notte un vero diluvio d’acqua con grossa grandine. Avrei desiderato doppiare la punta Levante di Lampedusa e mettermi al riparo sottovento dell’isola stessa; ma il buio era così fitto che sarebbe stato temerità il tentarlo. Alle 4 cessò alquanto il diluvio e spuntando l’alba feci rotta per passare a levante dell’isola; intanto l’aria cominciò a rischiararsi ed un freschissimo vento di Ponente Maestro ridonò al cielo la sua limpidezza e al sole il suo splendore. Dopo brevi bordate, doppiato il capo Cavallo Bianco che porta sulla sua estremità il fanale, ci apparve l’insenatura che forma il porto di Lampedusa e alle 7 lasciavo cader l’ancora in m. 5 di fondo. Per maggior sicurezza feci portare una cima in terra rimanendomi afforciato (con la prua a vento) al vento freschissimo di Maestrale che sembrava ringagliardire. Eravamo stanchi, bagnati ed affamati, le nostre mani e le nostre orecchie sentivano ancora le ammaccature della grandine della notte, però rimandai a più tardi la nostra discesa in terra per le pratiche d’uso e issata la bandiera e messi i nostri panni a sciorinare, ci ponemmo tranquillamente a far colazione. Ma questa tregua non ci era consentita, che l’ufficiale sanitario e i doganieri vennero a bordo; diedi le carte al primo e rimandai in buona pace i secondi. Poco dopo lo stesso Commissario Regio, il Cav. Ulisse Maccaferri, volle onorarci di una visita ed esibirci la sua assistenza per quanto potesse abbisognarci. Frattanto sulle rive si andavano formando numerosi cappannelli di persone che attentamente ci osservavano. Due paranzelle, poche e leggere barche pescherecce erano ormeggiate nell’interno del porto. Oltre a 7 grandi casoni a due piani che fronteggiano il fondo dell’insenatura, attirarono pure i nostri sguardi poche altre case bianche e basse, qua e là disseminate pel circostante paese e le rovine di un forte distrutto che sorgevano quasi sul mare, dividendo in due il profondo dell’insenatura”…

Dopo una breve descrizione storica di Lampedusa ed etimologica sul nome dell’isola il comandante continua con il suo racconto.

“…Alle 10 facciamo la nostra ufficiale discesa, muniti dei soliti attrezzi, per cacciare insetti, fare assaggi di rocce, e prendere fotografie. Sbarcati presso le rovine del forte ci dirigiamo alla casa del Commissario Regio il cav. Ulisse Maccaferri, il quale ci accoglie colla maggior cortesia e risponde alle nostre numerose domande. Egli ci narra come la colonia impiantata dal Re di Napoli Ferdinando II sia andata deperendo e come da qualche anno l’isola sia stata scelta come luogo di deportazione pei condannati a domicilio coatto. Sembra, soggiunge, che il governo abbia intenzione d’innalzare l’isola a comune e di sopprimere la colonia, ma da tre anni egli è Commissario in Lampedusa e non si è presa alcuna deliberazione in proposito. Per contro noi gli esponemmo lo scopo del nostro viaggio e gli narrammo brevemente le nostre avventure. Egli ci fece fare la conoscenza del Dottore della colonia e dell’ Ufficiale comandante il distaccamento, che insieme al Tenente delle dogane formano lo stato maggiore dell’isola. I vagiti di un bambino chiamarono il Commissario nella sala attigua, colà nella sua qualità di ufficiale civile, egli doveva assistere alla deposizione dei parenti d’un neonato, noi lo lasciammo alle sue occupazioni e andammo a far un giro nell’isola. Visitammo dapprima gli spaziosi caseggiati fabbricati nel 1844 per ordine del Re di Napoli per alloggiarvi le famiglie dei coloni, poi ci recammo sul promontorio detto del Cavallo bianco ove sorge un fanale e ivi, stabilita la macchina fotografica, presi la veduta del paese e del porto.

Girammo quindi l’isola cercando ragni, insetti e lucertole e frattanto il Commissario non poté resistere alla tentazione di tirar qualche colpo alle quaglie, che sembrano qui meno abbondanti e più furbe che a Cerigo. L’isola ci sembrò ricca di granaglie, c’imbattemmo in molti coloni intenti ai lavori agricoli nei loro poderi divisi gli uni dagli altri mediante cinte di muri a secco o siepi di fichi d’India. Alcune case coloniche sono fornite sul davanti di una specie di pergolato coperto di vite, il quale reca ombra e frescura, cosa da non disprezzarsi sotto un sole veramente africano. Ma accanto al bello vi è il brutto, vedemmo infatti certe abitazioni che non meritano il nome di case, formate da mucchi di pietre e di terra, unico ricovero delle più povere famiglie, le quali di più convivono con certi sudici animali che in questo caso son domestici proprio di fatto. Nel nostro giro non incontrammo un pozzo, non un solo ruscello, e ovunque la terra era arida e bruciata dal sole. Tuttavia crescono in varie parti dell’isola e prosperano varie qualità di viti, fichi d’ India in gran copia, legumi e ortaglie. Mancano quasi le piante arboree, si riducono cioè a qualche raro carubbo e a pochi oleastri e questi non si prestano all’innesto dell’ olivo. I venti impetuosi impediscono poi ai pochi alberi di innalzarsi e di fruttificare. Tornati a bordo per lasciarvi le nostre raccolte rivedemmo più tardi il Sig. Maccaferri, il quale ci volle a mensa seco lui. Durante il pranzo il nostro ospite ci forni interessanti ragguagli sulle vicende della colonia dalla sua fondazione fino ad oggi. A capo e ordinatore di essa era stato designato dai Borboni il cav. Bernardo Sanvisenti, capitano di fregata della marina napoletana, autore d’una pregevole memoria sopra Lampedusa e le isole vicine. Sotto di lui ebbe luogo il dissodamento di buona parte delle terre boschive e la fabbricazione delle case di abitazione che costituiscono il villaggio. Egli governò la colonia fino all’anno 1853, con una sola interruzione cagionata dai noti avvenimenti politici del 1848. Al Sanvisenti sottentrò una Commissione di funzionarii locali che resse la colonia sino al 9 Luglio 1873, epoca in cui venne sciolta dal Governo per apparecchiare ed eseguire la conversione di essa in Comune, giusta le tradizionali aspirazioni dei coloni e le promesse dei Governi Borbonico e Italiano. Gli studii e l’opera della riforma vennero affidati ad un Commissario straordinario, scelto con savio intendimento nella persona del cav. Ulisse Maccaferri. L’impianto della colonia fu iniziato da una spedizione che comprendeva : un Comandante civile e militare, un Sindaco, un Cancelliere, un medico, un prete, un sagristano, 18 uomini addetti ad arti e mestieri diversi colle funzioni di guardie urbane ed un distaccamento militare di 40 uomini. A popolare l’isola accorsero dalla Sicilia e più specialmente dalle isole di Ustica e Pantelleria parecchie famiglie di agricoltori, lusingati dalla promessa di diventar proprietari di terre e di case. Essi ebbero poi la sospirata proprietà, ma le terre di Lampedusa essendo povere di produzioni naturali ne rimasero ben poco avvantaggiati. La popolazione dell’isola andò progressivamente crescendo sicchè all’epoca del nostro soggiorno ammontava a 918 abitanti, dei quali 452 maschi e 466 femmine. Questa era la popolazione libera, ma l’isola essendo diventata nel 1872 sede di una colonia di domiciliati coatti, si aggiunsero ai suoi abitanti un distaccamento militare e un drappello di guardie di pubblica sicurezza e carabinieri”.

Il Capitano in seguito descrive quello che il regio Commisario Cav. Ulisse Maccaferri gli racconta della colonia penale e delle loro misere condizioni di vita.

Poi prosegue sullo stato degli abitanti …

“Non potevo persuadermi che tanta gente trovasse sostentamento col semplice prodotto di un terreno si ingrato, ma il Maccaferri mi fece osservare che la pesca delle sardine e delle alici, la quale attira anche molti pescatori forestieri viene in soccorso di questi isolani. Comincia la campagna di pesca nel Marzo e termina col Giugno di ogni anno e sono 20 anni che venne iniziata, vi prendono parte in media 40 barche e 240 pescatori circa. Questi in parte sono dell’isola, gli altri forestieri, cioè provenienti dalla Pantelleria e da Trapani. Le sardine e le alici si salano in barili che commercianti Dalmati sogliono esportare nei mesi di Giugno e Luglio per poi venderle sui mercati della Grecia, della Turchia e della Germania. L’isola ne lucra 150,000 lire annue. Questa pesca si esercita lungo le coste dell’isola e particolarmente allo scoglio del Lampione. Ivi si pescano pure lungo l’anno dentici, luvari, minnole, che in parte si salano e in parte servono di alimento alla popolazione dell’isola, ma a questa pesca prendono parte pochissimi individui. Si importano nell’ isola granaglie, legumi, vino, animali domestici, olio e materiali da costruzione. Servono a quest’ uopo tre barche di una trentina di tonnellate di stazza, le quali fanno altresì il servizio postale con Porto Empedocle nella Sicilia, e due altre piccole barche di 16 tonnellate, che importano specialmente il vino di Marsala. L’isola facendo parte della provincia di Girgenti, ha le sue principali comunicazioni con Porto Empedocle. Ogni settimana una barca postale fa vela per quel porto e ritorna nell’isola. « Infelice colui che è costretto a viaggiare con essa », ci diceva il Maccaferri, « indarno cercherebbe comodità e conforto ». Questi mari essendo talora assai tempestosi, accade, specialmente nella stagione invernale, che l’isola rimanga senza alcuna barca in porto e senza comunicazione di sorta e ciò fin per 60 giorni e più, la popolazione trovasi allora costretta ad assottigliare il proprio vitto, a mettersi a razione e a passar la sera e la notte senza lume, sempre col timore che succeda anche di peggio. Ad onta di si tristi condizioni e quantunque la colonia dei coatti costituisca sempre un vero pericolo, le autorità locali non dispongono nemmeno di un telegrafo. Le condizioni sanitarie dell’isola sono generalmente buone, e il numero delle nascite supera largamente quello delle morti, ciò principalmente a causa del clima mitissimo e per la temperanza della popolazione. Le pioggie sono nell’isola rare e di breve durata, ma per contrario le rugiade sono abbondantissime, massime in primavera, onde il bisogno di cisterne che furono scavate dal governo e dai coloni e da questi sono con gran cura e gelosamente custodite. Abbenchè la carta inglese dello Smyth segni varii torrentelli e sorgenti, pure il Maccaferri ci confermò l’assoluta mancanza di acque correnti. Per la scarsità delle pioggie e l’assoluta mancanza di acque sorgive l’isola va soggetta qualche volta a straordinaria siccità. Per una di queste nel 1875, 400 abitanti emigrarono in massa sulle coste della Tunisia e dell’Algeria.

In seguito il comandante e i suoi ospiti effettuarono una passeggiata nell’abitato di Lampedusa e il giorno dopo erano pronti per lasciare l’isola per continuare il loro viaggio.

… “Sabato 16 Settembre”…

… “Fatto ritorno a bordo diedi ordine che si preparasse ogni cosa per la partenza e mi recai a terra a salutare il Sig. Maccaferri. Questi mi offeri, mentre mi accommiatavo, una quantità di monete antiche, tra le quali le poche riconoscibili sono romane ed appartenenti al basso impero. Quanto di buono esiste nell’isola è pressochè tutto opera del governo italiano, il quale ha speso e spende largamente per mantenerla popolata, per trasformare gli ordinamenti e gli usi coloniali nella costituzione e nelle costumanze municipali e convertire gli abitanti, che erano quasi servi della gleba, in liberi cittadini di libero Comune. Il divisamento del governo nazionale è ottimo e sommamente civile ; ma è difficile il raggiungerlo completamente perchè vi si oppongono la ignoranza delle masse e le interessate aspirazioni dei maggiorenti. Tuttavia mercè i lumi, il senno e l’operosità di quel solerte funzionario che è il cav. Ulisse Maccaferri, l’opera è già molto innanzi ed omai il buon esito può ritenersi assicurato. Sebbene Lampedusa non sia per anco retta a Comune e tuttora sussistano le leggi cui era soggetta la colonia ai tempi di Ferdinando II, pure un avviamento alla vita libera e civile è stato dato testè alla popolazione dell’isola. Sotto l’impulso del Regio Commissario, sono state istituite scuole elementari per i fanciulli e per le fanciulle ed una scuola serale per gli adulti, entrambe fornite degli opportuni arredi scolastici ed affidate a buoni insegnanti, e in tal guisa sono frequentate dalla popolazione che ne ricava gran profitto. In tali scuole si è introdotto l’uso della solenne premiazione degli alunni, e la popolazione festosamente vi prende parte. È stata poi istituita una società di mutuo soccorso tra gli operai, che ad onore dell’isola fiorisce e prospera non meno d’una biblioteca popolare circolante a cui non mancano libri utili e assidui lettori…”.

Infine il comandante, dopo una breve considerazione sulla vita che conduceva il Maccaferri da tre anni sull’isola, “…Privo di ogni conforto della vita sociale, senza famiglia, sovente mancante dei più necessarii alimenti e colla responsabilità immensa che pesa sopra di lui, egli conduce una vita tormentosa ed intollerabile…”  ritornato a bordo da ordine di lasciare l’isola e di fare rotta per Pantelleria.